Come illuminare il tavolo da pranzo: due o tre cose che ho imparato

Come illuminare il tavolo da pranzo

Che mi piace mangiare (più di qualsiasi altra cosa), lo sapete tutti.
Che Cakemania nasce dal mio lavoro di giornalista specializzata nel mondo food, lo sapete in molti.
Che ho un acceso interesse nella questione della “luce migliore” quando si mangia e quando si fotografa, lo sapete voi che avete cenato o lavorato con me e mi avete detto più volte con gli occhi roteati all’interno delle loro orbite “mobbasta però, SCATTA ‘STA FOTO E MANGIAMO ‘STA TORTA”.

Su invito di Lampcommerce – il negozio on line con un catalogo ampissimo di lampade di ogni tipo, con particolare attenzione al migliore design made in Italy – mi è quindi gradita l’occasione per scrocchiarmi le dita e fare proselitismo su quei due o tre concetti che ho imparato in taaanti anni di osservazione in ristoranti, case private, riviste, romanzi e pure musei, riguardo una questione niente affatto banale: come illuminare il tavolo da pranzo per rendere merito al cibo, all’apparecchiatura, ai commensali e, non ultima, alla padrona di casa?
Che molto probabilmente si siederà dopo aver spignattato a lungo (o dopo una giornata lunga), e sarà stanca, e una luce impietosa non se la merita proprio.

Cominciamo prendendo in considerazione i ristoranti.
Ristoranti-ristoranti, quelli dove si regala ai clienti un’esperienza gioiosa, rilassante, intima: astenersi pizzerie e raviolerie dove si va con tanti amici in un clima da “anvedi ecco Marino”.
Insomma, parlo di cenare fuori per mangiare quel piatto che ti prepara quel cuoco, guardando negli occhi quella persona che dopo (si spera) dividerà il letto con te, o parlando con i tuoi figli, genitori e migliori amici.
Avrete forse notato che per ottenere quel tipo di atmosfera raccolta tipica del bel ristorante, la più vicina a quella che si vuole avere in una situazione domestica, l’illuminazione scende dall’alto ed è concentrata sul tavolo.

Il ristorante Forn de Sant Juan a Maiorca
Il ristorante Forn de Sant Juan a Maiorca

Vero è che l’espediente di un piccolo lampadario su ogni desco, in un ristorante, serve prima di tutto a delimitare lo spazio privato di ogni gruppo, in contrapposizione allo stile comunale da osteria di cui sopra.
Ma essenzialmente la lampada a sospensione sta lì sopra al risotto per glorificarlo, come in quei dipinti barocchi in cui la luce divina squarcia le poderose nuvole grigie per dire “Sì, proprio tu: ti benedico”.
E allo stesso tempo quella luce ci attira verso di sé e ci circoscrive nel suo caldo abbraccio.
Ripeto: caldo, non freddo o tiepidino.
Se nessuno trova desiderabile un roastbeef che sanguina sotto una luce da obitorio, ancora meno troverà desiderabile il volto di chi gli sta davanti sotto luci bianche o tendenti all’azzurro/violetto che mortificano (letteralmente) e gettano ombre taglienti sotto i suoi zigomi, naso e mento.
C’è chi sostiene che le ombe definite giovino all’aspetto del cibo mettendone in evidenza le texture, ma non solo non sono del tutto d’accordo su questa scuola di pensiero: sono convinta che un pensiero vada speso anche per le persone sedute intorno al cibo – anche loro vogliono apparire al loro meglio: se è tutto bello, vincono tutti!

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© eatout.co.za

Quindi: sempre – SEMPRE – luci calde, posizionate al centro del tavolo, e soffuse.
Non ricordo in quale romanzo francese (sarà stato di Colette?), una accorta demi-mondaine drappeggiava un foulard di seta rosa sopra l’abat-jour prima di ricevere l’amante che la mantiene: perché la luce rosa, appunto, è quella che dona maggiormente all’incarnato.
“Abat-jour/ che diffondi/ la luce blu/ di lassù..”, quella vecchia canzone che cantano Sofia Loren e Marcello Mastroianni in “Ieri, oggi e domani” mentre lei fa lo spogliarello, non è insomma da prendere come esempio, se non per le rime: una luce blu, dall’alto, ammazza e basta.
Bassa (dai 75 cm a circa un metro dal piano del tavolo) e calda, tra il giallo e il rosa, ravviva.
Passiamo a degli esempi pratici che a me personalmente piacciono moltissimo. Noterete che ho un debole per le forme rotonde (e per Artemide, di cui posseggo la Tolomeo in tre formati e colori diversi)…

Castore, disegnata da Huub Ubbens e Michele De Lucchi per Artemide:

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Appesa in quattro misure sopra un tavolo, secondo me è una soluzione bellissima che complimenta qualsiasi tipo di arredamento. Il design del diffusore sferico è esaltato dallo stelo luminoso, che costituisce il dolce passaggio dalla luce intensa del globo alla zona d’ombra della struttura della lampada.

Copernico, lampada a sospensione disegnata da Carlotta de Bevilacqua e Paolo Dell’Elce:copernico-sospensioneMi ricorda l’ingegnosa e poetica scultura di Aleksandr Rodchenko che ho visto al MoMA (ne ho parlato qui), che ruberei se avessi i talenti di Arsenio Lupin:

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Discocò di Christophe Mathieu per Marset:

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Uno di quei punti luce dal grande carattere che vogliono essere guardati; è disponibile in quattro colori, ma raccomanderei l’avorio.

Ronda di Jorge Pensi per B.lux è perfetta per gli ambienti nordic chic e filo-anni ’50:

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E in questa antologia non farei mai mancare un autentico lampadario veneziano classico, ovviamente soffiato a mano: Dalì di Voltolina ha 12 bracci, è in cristallo trasparente, la linea è pulitissima ma morbida. Un vero jolly dell’interior design, con un prezzo di cui approfittare subito: 437,25 euro!

dalì lampadario

Infine, quanti punti luce è consigliabile avere sopra il tavolo?
Un tavolo rotondo vuole un singolo lampadario, commisurato al suo diametro. Lo stesso vale per un tavolo quadrato.
Un tavolo ovale ne può avere due medio-piccoli se è lungo almeno due metri.
Un tavolo rettangolare due, tre se è davvero grande, quattro se è da ricevimenti di Stato.

Allora, ho acceso anche il vostro… interesse?

(Post realizzato in collaborazione con Lampcommerce)

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