La storia della granola, del muesli e delle barrette proteiche

La vera storia di uno dei cibi più noti e venduti nel mondo!

storia della granola e del muesli

Nell’opinione comune sono parole quasi intercambiabili – granola, muesli e barrette proteiche a base di – e sempre sinonimo di cibo salutare, con un forte rimando alla naturalità delle origini.

In realtà, si tratta di prodotti con storia, caratteristiche e origini molto diverse. E anche sotto il profilo della salubrità nutrizionale, in realtà, ce ne sono parecchie di cose da dire.

Quindi andiamo con la solita spiega.

Woodstock: tre giorni di pace, amore, musica e muesli

festival di Woodstock
Una volta non era il muesli a venirmi in mente quando pensavo a Woodstock, ma non si finisce mai di imparare!

Era il 15 agosto del 1969 e circa mezzo milione di persone si riunì nelle campagne di Bethel, nello stato di New York, per manifestare pacificamente contro la guerra del Vietnam, un’idea rivoluzionaria che avrebbe attraversato le epoche successive con tre parole d’ordine: pace, amore e libertà.

Il ricordo sovrano è Hendrix che impugna come un’arma la sua Fender Stratocaster bianca e si produce in una versione memorabile dell’inno nazionale americano, da far letteralmente accapponare i capelli (anche per le inevitabili distorsioni metalliche) come direbbe Gioacchino Bonsignore.

woodstock e la storia del muesli
Photocredits: Rebelstudio.it

Nessuno dei presenti immaginava che stava andando incontro alla peggiore mancanza di cibo mai vista nella storia dei Festival musicali.

Quando Michael Lang, co-organizzatore dell’evento, aveva programmato la questione cibo, era convinto di dover dare da mangiare a non più di 150 mila persone. Non aveva minimamente immaginato l’impatto che quel Festival avrebbe avuto sulla gente e la reazione delle grandi multinazionali della ristorazione per eventi: che, semplicemente, non volevano legarsi al Festival e si rifiutarono di investire in attrezzature, materie prime e costi di trasporto.

Per tamponare il disastro fu contatta un’organizzazione assolutamente priva di esperienza che mise insieme, all’ultimo minuto, quello che potè.

Il risultato fu più o meno come aver organizzato l’Expò offrendo nell’area food un buffet con qualche stuzzichino: i pochi stand presenti si svuotarono immediatamente, le code per il cibo divennero chilometriche, i prezzi salirono alle stelle.. e mezzo milione di persone digiunò per due giorni.

festival di woodstock
Questa hippie pare voler mangiare i fiori. Quindi il concetto di fiori edibili lo dobbiamo a lei, poveretta.

All’improvviso, il colpo di genio.

Lang contatta la comune hippie di Hugh Romney, la Hog Farm, chiedendo rinforzi.

Romney convoca, o forse dovremmo dire precetta, tutti i suoi come volontari e raduna materie prime e attrezzature per preparare riso, verdura e granola per tutti. Gratis.

Allora, forse, ancora poteva parlarsi di un cibo energetico e salutare sul serio.

Poi si presenta a Woodstock e, in un mattino di nebbie acide e fame, sale sul palco annunciando – come un cameriere d’hotel qualsiasi – che di lì a poco sarebbe stata servita a tutti la colazione, direttamente nel proprio sacco a pelo!

Una storia di solidarietà, cuore e condivisione che, grazie a questa foto, ha fatto il giro del mondo:

muesli a woodstock
Una ragazza si serve una razione di cibo gratuita nell’area del campo al Woodstock Music Festival a Bethel, New York, il 15 agosto 1969.” Credito fotografico: AP, via Hyffpost.com

Quando ho iniziato a fare ricerche per questo articolo ero preparata più o meno a tutto, tranne che all’immagine degli hippie che sgranocchiano il muesli mentre ascoltano musica e fumano beati.

Cioè, io quest’orda di ragazzi in preda alle nebbie lisergiche che… mangia il muesli recapitato gratis da una comune arrivata di corsa per sfamarli… proprio non l’avrei immaginata. E se fino ad oggi ho pensato che avrei dato qualunque cosa per esserci, beh… oggi un po’ di più!

Che esperienza incredibile deve essere stata.

Il müesli o birchermüesli

storia del muesli
Con una scodella del genere come pranzo, Woodstock sarebbe andato avanti due mesi e mezzo. Questa però è la mia ricetta del Birchermuesli

By the way, è molto più indietro che bisogna andare, se si vuole conoscere la storia del muesli.

L’origine del müesli è legata a doppio filo al medico, dietologo e pioniere della scienza della nutrizione umana Maximilian Bircher-Benner

Maximilian Bircher-Benner
In questa foto un po’ rigido ma vera pietra miliare nel suo campo, photocredit: wikipedia

Egli, all’inizio del 1800, ideò il piatto noto col nome di Apfeldiätspeise, piatto della dieta della mela, realizzato a base di fiocchi d’avena, mele, noci, succo di limone e latte condensato zuccherato.

Cosa stava cercando Bircher-Benner quando inventò questo piatto? Nulla. Infatti non lo ideò lui.

Si trattava di una ricetta che i pastori delle alpi svizzere utilizzavano da tempo per il proprio sostentamento, nei periodi di maggiore impegno con le greggi.

Bircher-Benner, invece, osservò che questa combinazione di alimenti rappresentava un pasto molto ben bilanciato e nutriente, ideale per avvicinare le persone ad un’alimentazione vegetariana crudista, che egli riteneva più salubre delle abitudini alimentari in voga a quel tempo.

In particolare, pensava che la buccia della mela, i suoi semi e il torsolo grattugiato fossero molto preziosi per la salute e che ne andasse incoraggiato il consumo nell’ottica di una dieta più ricca di frutta fresca. ATTENZIONE: i semi di mela contengono cianuro. Poco, eh, ma buttiamoli nell’umido!

Così, la inserirì nei consigli nutrizionali destinati ai suoi pazienti.

ricetta del bircher benner muesli
Questo è un muesli di epoca più nostra, adatto per scalare il massiccio dell’Annapurna in bici

Al giorno d’oggi, la ricetta del dottor Bircher viene consumata regolarmente in Svizzera, soprattutto per cena ma anche a colazione, essendo divenuta estremamente popolare.

Col passare degli anni, comunque, il concetto di muesli si è ampliato, andando a ricomprendere varie miscele di cereali, frutta fresca e secca, semi oleosi, accompagnati da latte e yogurt o sostituiti dei latticini, come succhi di frutta, e aggiunte di elementi “appetizzanti” come scaglie di frutti esotici zuccherati, cioccolato e canditi, che hanno snaturato il concetto originale di questo alimento, rendendolo certamente meno vegetariano e crudista e molto più “palato friendly”.

Ricetta originale del dottor Bircher

Oggi sono varie le miscele note come muesli e versatili nelle più svariate ricette, ma quella originale del dottor Bircher prevede:

  • un cucchiaio di fiocchi d’avena messo in ammollo in 3 cucchiai di acqua fredda
  • un cucchiaio di succo di limone
  • un cucchiaio di latte condensato zuccherato
  • 200 g di mele grattugiate con buccia e semi inclusi
  • un cucchiaio di nocciole o mandorle in polvere

(da Il libro della salute Bircher – Benner, Mondadori, 1981).

E senza alcuna pretesa di competizione, qui c’è anche la mia versione del Bircher Muesli!

And then comes… Granula!

la granula del dottor Jackson
Le confezioni di Granula originale, sul retro è visibile un’inquietante immagine del Jackson Sanitarium, dove James Caleb Jackson lavorava. Sarà che la parola Sanitarium mi fa sempre pensare all’elettroshock…
Photocredits: https://www.mrbreakfast.com/

Siamo ancora nel 1800, più precisamente nel 1863. Il medico nutrizionista americano James Caleb Jackson decide che è tempo, per gli americani, di mettere sotto i denti colazioni più sane e inventa il primo cereale da colazione: la Granula.

Fondamentalmente si tratta di un preparato a base di farina di graham, ossia farina di grano integrale a grana grossa, molto ricca di crusca, che veniva “agglomerata” in pepite. Si chiamava farina di graham da Sylvester Graham, uno dei primi sostenitori della riforma alimentare americana.

Graham riteneva inaccettabile lo scarto di germe e crusca quando si preparava la farina per il pane e credeva che l’utilizzo di tutto il grano nella macinazione e nella cottura potesse rimediare ai problemi di salute che gli americani avevano iniziato a soffrire dalla rivoluzione industriale a causa dei cambiamenti avvenuti nella loro dieta.

La Granula del dott. Jackson non va assolutamente confusa con la Granola messa a punto, sul finire del 1800, da John Harvey Kellogg (sì, quello dei Cornflakes, Rice Crispies e Coco Pops) anche lui medico, convinto che la principale causa di tutte le malattie che affliggevano i suoi connazionali fosse l’alimentazione basata sulla carne.

Per questo sostenne le riforme sanitarie che propugnavano il ritorno ad un’alimentazione il più possibile naturale, in accordo con le origini della razza umana, basata sul consumo esclusivo di alimenti di origine vegetale.

(Notate anche voi una certa natura ricorsiva nel tema della salubrità alimentare, da parte degli amici americani? Quindi dov’è che si sono poi persi?).

Kellogg è universalmente ricordato per essere stato l’inventore dei corn flakes, una ricetta che aspirava a fornire tutti i nutrienti necessari al fabbisogno giornaliero, i primi moderni cereali da colazione.

Fu suo fratello, William, a fondare la Kellogg’s e produrli industrialmente.

granola Kellogg

La granola dei fratelli Kellogg è già più simile ai prodotti più familiari ai nostri carrelli della spesa, si trattava proprio di un mix misto di fiocchi di avena integrali – e questo era il quid (l’unico, per la verità) che conservava l’aspetto salutista della faccenda, rispetto ai giorni nostri – i quali venivano sottoposti ad una doppia cottura in forno.

E qui scappa pure il pettegolezzo: inizialmente anche Kellogg voleva chiamare il suo prodotto Granula.

Fu costretto a cambiare la u in una o per evitare questioni legali con Jackson (che – ricordiamolo – lavorava in un Sanitarium… forse faceva una certa inquietudine pure a Kellogg, che difatti cambiò nome senza colpo ferire. Ma magari è solo una mia suggestione).

La granola oggi

Che sia a marchio Kellogg’s o no, anche la granola che acquistiamo oggi è diventata qualcosa di assolutamente differente da come era nata nelle intenzioni del suo ideatore.

Nelle produzioni moderne manteniamo la base di fiochi di avena, molto importante per l’apporto in proteine, fibre e betaglucani, efficaci nel tenere a bada il colesterolo e stimolare il sistema immunitario.

Per contro, abbondano ricchi premi e cotillon edibili, aggiunti al solo scopo di rendere il prodotto delizioso al palato e – quindi – condizionante per l’interesse del consumatore: cocco rapè, pezzi di cioccolato, scaglie di frutta candita e altri alimenti del tutto estranei al concetto di alimentazione “curativa” e originaria.

La crema Budwig

Possiamo definirla un porridge, ma senza cottura. Si realizza con cereali integrali, semi oleosi, yogurt e frutta fresca.

Fu inventata, attorno alla metà del ‘900, dalla farmacista tedesca Johanna Budwig come parte integrante di un regime alimentare denominato dieta Budwig, che lei stessa asseriva avere un efficacia anticancro (mai dimostrata).

E qui finisce la spiega, perché – sostanzialmente – è un piatto crudo realizzato solo con ingredienti super freschi, che devi farti uno sbattone allucinante per mettere insieme.

Con la crema Budwig ci ho svezzato il mio primo povero figlio, su dettami del pediatra privato che secondo me faceva esperimenti sociali sui neogenitori.

Ricordo l’odore vomitevole di questo miscuglio di yogurt senza zucchero, la banana quasi marcia schiacciata, l’olio di lino, il succo di limone e i TRE CHICCHI TRE di grano saraceno APPENA PESTATO al mortaio.

Avete presente quando finivate sempre la pappa buona avanzata dei vostri figli… la farina lattea, la pastina con l’ovetto? Beh, qui nessuno leccava il piatto.

Una cosa che definire tremenda è un complimento, anche se in rete si trovano tante immagini invitanti, fidatevi: NO.

(Gli altri due figli li ho svezzati come tutti i cristiani, atei, agnostici europei: col brodino di verdurine dell’ortino della nonnina, il formaggino e la pastina).

Come sono nate le barrette energetiche?

storia delle barrette energetiche

Non ci è voluto molto prima che le grandi aziende che producevano muesli e granola si rendessero conto di avere tra le mani una grande possibilità: aumentare l’appetibilità dei loro prodotti salutari aggiungendo ingredienti “golosi” e immettendoli sul mercato con claim commerciali per sottolinearne gli effetti positivi e benefici per la salute.

Nei primi anni ’30 del 1900, la Mars Incorporated lanciava uno dei suoi prodotti più conosciuti, destinato ad entrare nell’olimpo delle leggende: SNICKERS®, una barretta a base di arachidi tostate e salate, caramello fuso e una ricca copertura di cioccolato al latte, in commercio dal 1930 con un ritorno economico, in termini di fatturato medio annuo, pari a due miliardi di dollari.

Le barrette di cereali, con aggiunta di zucchero, cioccolato, burro di arachidi, siero di latte e chi-più-ne-ha-più-ne-metta hanno invaso il mercato in un attimo, non appena è stato evidente che il consumatore era molto meno accorto degli scienziati nella lettura ed interpretazione delle etichette alimentari (spesso oggettivamente indecifrabili, fino ai diversi interventi nazionali in termini di legislazione a tutela degli utenti).

C’è uno studio del 2022, condotto dalla National Library of Medicine, che ha analizzato le principali motivazioni che spingono i consumatori all’acquisto delle barrette proteiche.

Gli intervistati sono stati complessivamente 1034 e sono stati suddivisi in 5 cluster diversi:

  1. persone interessate a salvaguardare la salute
  2. persone attratte dall’aspetto del prodotto
  3. persone informate sulla composizione del prodotto
  4. persone spinte da motivazioni legate al desiderio di un pasto “frugale” o sostituitivo
  5. persone interessate al consumo specifico del prodotto

Ebbene, ne sono emerse conclusioni che definirei spiazzanti:

  • le persone informate e interessate alla tutela della salute hanno riportato maggiori probabilità di consumo delle barrette con la convinzione che fossero salubri e nutrienti
  • le persone attratte dall’aspetto del prodotto e quelle spinte dal desiderio di un pasto più frugale, non ne mangiavano tante come il cluster precedente ma le consideravano estremamente attraenti sotto il profilo nutrizionale
  • il cluster costituito dalle persone attente alle etichette alimentari ha ricevuto un boost di determinazione all’acquisto grazie al gusto delle barrette: dolcezza e croccantezza avevano spiegato un effetto serotoninergico rilevante sulla loro motivazione.

Spiegato facile?

Lo studio ha dimostrato le ragioni per cui, da circa una settantina di anni a questa parte, le grandi multinazionali del settore producono barrette proteiche ricche di ogni ben di Dio che ci fa sbavare come i cani di Pavlov, con la certezza che – apponendo un qualunque claim legato alla loro positività nutrizionale – le compreremo con estrema soddisfazione: del (nostro) palato e del (loro) portafogli.

E nel nostro paese?

In Italia la legislazione sulla nomenclatura ed etichettatura dei prodotti alimentari è molto fiscale e impone di indicare chiaramente gli ingredienti di ogni prodotto, in modo che il consumatore sia in grado di capire chiaramente in ogni momento cosa sta comprando.

Le barrette energetiche sono prodotti alimentari, pratici nel trasporto e facilmente digeribili, pensati per fornire energia in momenti specifici e come tali vengono chiaramente identificate e commercializzate.

Il claim, nel nostro paese, si sposta più sull’occasione d’uso: per esempio, vengono consigliate prima o durante l’attività fisica, per mantenere o favorire il recupero delle energie, perché si ritiene che permettano di mantenere costanti i livelli di zuccheri nel sangue, anche durante un’attività fisica prolungata.

Ma indovinate un po’? L’EFSA (l’autorità europea per la sicurezza alimentare) non ha mai approvato alcun claim che certifichi scientificamente questo beneficio.

Che si tratti di effetto placebo?

Chi lo sa.

Resta il fatto che se, da un lato, la pandemia di Covid ha funestato anche questo settore, perché le persone hanno chiaramente percepito l’inutilità di alimenti di supporto ad attività sportive che non potevano più praticare, di contro si è impennata la domanda di comfort food e prodotti ricchi di quegli ingredienti appetibili e serotoninergici che hanno fatto comprare chili di barrette al cioccolato a moltissimi giovani.

La nuova frontiera delle barrette energetiche saranno gli insetti?

La polvere sollevata dall’ultima bagarre italiana sulla farina di insetti non si è ancora depositata, ed ecco che torna alla ribalta il primo “prototipo” di barrette energetiche a base di larve, messa a punto nel 2015 da alcuni ricercatori altoatesini e premiata dall’Accademia svizzera delle scienze tecniche.

Stefan Klettenhammer, questo il nome del giovane ricercatore pusterese, ha dichiarato di aver pensato a questa “ricetta” per arginare il problema del sovraccarico della produzione agricola atteso nel 2050, onde affrontare il raggiungimento della soglia dei 9 miliardi di abitanti del mondo limitando l’impatto della produzione sul pianeta.

Per questa ragione, già nel 2021 la Commissione europea ha autorizzato la messa in commercio di prodotti destinati al consumo umano, ottenuti lavorando larve di Tenebrio molitor (o larva gialla della farina), di Locusta migratoria (in forma congelata, liofilizzata, in pasta o in polvere) e di larve di Alphitobius diaperinus (o verme della farina minore).

Lo scorso 5 gennaio 2023, il via libera è stato esteso anche all’Acheta domesticus (o grillo comune) che ora può essere usato come farina in prodotti da forno, dolci, cioccolato, salse, sostituti della carne e bevande in tutti i paesi dell’Unione.

Delle larve, nella barretta prototipata da Klettenhammer non c’è traccia a occhio nudo, ovviamente, e secondo lo scienziato dovremmo seriamente considerare di inserire questa tipologia di alimenti nella nostra alimentazione. Gli insetti, infatti, sono animali a sangue freddo e producono molte proteine a fronte di un minimo consumo energetico.

Avviare allevamenti di insetti nel mondo sarebbe molto semplice e contrasterebbe il fenomeno dell’impennata dei prezzi su carne e verdure, già previsto a livello globale entro pochissimi anni.

La nostra alimentazione tornerebbe a riferirsi ad alimenti di base vegetale o animale soltanto in senso lato, alleggerendo la pressione su allevamenti e agricoltura intensivi.

Io sono vegana, e quindi personalmente mi tiro fuori in ogni caso.

E qui chiudiamo un cerchio enorme sulla storia di muesli, granola e barrette, aperto nel 1800, quando i primi nutrizionisti si accorgevano che un’alimentazione vegetariana e crudista sarebbe stata più salutare per l’uomo e, con tutta evidenza, anche per il mondo che lo stava ospitando.

Certo è che l’idea di consumare barrette energetiche prodotte con ingredienti ottenuti da simpatici animaletti, che cerco di allontanare dalla mia dispensa non senza un certo schifino, ancora mi turba.

Credo che, almeno per un po’, continuerò a farmi le mie barrette in casa affidandomi solo agli ingredienti della mia ricetta.

Cakemania, eco food blog di Sasha Carnevali